Cultura

Quando il Pilastro diventa uno stereotipo artistico

Nel fine settimana appena trascorso a Bologna, come sappiamo, c’è stata Artefiera, evento che ha portato tanti cittadini bolognesi a riscoprire i tesori della loro città e tanti turisti a conoscere il vivacissimo tessuto culturale di Bologna, tra mostre, musei, installazioni, eventi fino a notte fonda.

Peccato però che in un’occasione del genere, che regala tanta visibilità alla città, uno degli artisti sia scivolato in un luogo comune, profondamente sbagliato e scorretto sul Pilastro, rimarcando un vecchissimo stereotipo…

In un’intervista rilasciata da Eugenio Tibaldi, autore della mostraInclusio. L’inclusione attraverso l’arte e la cooperazione, allestita presso “Centro Italiano di Documentazione sulla Cooperazione e l’Economia Sociale”, abbiamo letto un’affermazione che ci ha dato molto fastidio, come abitanti del Pilastro e come redazione di un blog, che cerca di dare voce alle tante realtà della zona.

In questa mostra, tra le varie composizioni realizzate grazie alla partecipazione di dipendenti e utenti della Coop Dolce, si scorge, in fondo alla sala, un lungo pilastro in resina arancione, fatto di oggetti e foto più disparate. In un’intervista, Eugenio Tibaldi in riferimento a questo “pilastro” afferma: “Rispecchia il mio interesse per le periferie. Pilastro è un quartiere di Bologna, per intenderci quello che ha dato i natali alla banda della Uno Bianca.”

Probabilmente Eugenio Tibaldi, non essendo bolognese non conosce la questione molto bene, ma pensiamo che chi fa arte, usando la propria creatività come strumento per trasmettere messaggi di carattere sociale, prima di affrontare determinate tematiche dovrebbe documentarsi meglio. (Sul nostro blog si trova un archivio certamente non esaustivo, ma piuttosto completo per capire meglio i fatti dell’epoca)

Ricordiamo che la Uno bianca negli anni 90, ha mietuto vittime in tante parti di Bologna e non solo. Quello del Pilastro è stato forse l’eccidio più sanguinoso e agghiacciante, per le modalità con cui si è svolto, che ha portato al depistaggio delle indagini e soprattutto dell’opinione pubblica.
Ma i fratelli Savi, gli autori di questa lunga scia di sangue, non avevano nulla a che fare con il Pilastro e tanto meno erano nativi del luogo.

Se ad Eugenio Tibaldi interessa il tema delle periferie, lo invitiamo a venire a conoscere meglio questo rione, proponendo un percorso artistico partecipato con i suoi abitanti, simile a quello fatto con la Coop Dolce.

Probabilmente quella che ne verrà fuori sarà un’installazione artistica diversa, che rispecchierà in maniera più fedele e reale l’anima di questo luogo culturalmente molto fertile e ricco di iniziative socio-culturali, che non ha nè più nè meno problemi di tante altre periferie d’ Italia.

In questo rione l’artista potrebbe anche trovare un’ interessante e originale storia di edilizia popolare, alla quale lui stesso si rifà, sempre in riferimento al “Pilastro”: “Ho ripreso dunque la struttura di base dell’edilizia popolare, un pilastro 30x30x270. Ho costruito l’anima di ferro e dentro vi ho colato oggetti e resina. È diventato una sorta di carotaggio, una testimonianza del presente, ma anche una riflessione su come è stata pensata fino ad ora l’edilizia popolare, senza stratificazione sociale”.

L’arte può essere uno strumento utilissimo e potente, in grado di incidere sull’opinione pubblica e di costruire nuove percezioni della realtà, soprattutto se applicato al sociale. Pertanto sarebbe bello e socialmente utile, che chi possiede abilità artistiche, le usasse nel modo migliore, per portare a galla verità e non stereotipi.

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