Abitare il Pilastro

Il volontario che ridipinge il ponte San Donato

Abita al Pilastro Ahmed Mahlah, con la giovane moglie e una figlia di pochi mesi nata al Sant’Orsola, e, quando il Quartiere chiama, va a tiogliere le scritte che imbrattano il ponte San Donato.
Ho imparato questa storia dal Resto del Carlino e mi sono accorta di avere il numero in rubrica poichè abbiamo amici comuni. Appena ci incontriamo mi racconta dell’Associazione di Promozione Sociale di cui è Presidente “Integrazione tra i popoli”, che svuota cantine, si offre per piccoli traslochi e fa volontariato per il Quartiere San Donato in cambio di un contributo per i migranti che hanno lavorato. Ahmed è molto impegnato per l’integrazione ed è convinto che “con gentilezza, senza alzare la voce e soprattutto senza cattiveria è possibile avvicinare la gente. Con un sorriso”.

Gli chiedo di raccontarmi la sua storia e rimango di sale quando vengo a sapere che da alcuni giorni ha ricevuto l’intimazione di sfratto. Quando iniziarono i lavori di ristrutturazione, fu trasferito in via Salgari da via Gandusio in cui era assegnatario di un appartamento ACER . Non si preoccupò di controllare che la burocrazia avesse registrato accuratamente il passaggio, dato che riceveva regolarmente le bollette da pagare. Adesso, come tanti padri di famiglia si vede crollare il mondo addosso.
Cittadino modello ma disoccupato, con un bimbo di pochi mesi e moglie a carico e sfrattato da ACER.

Parla un italiano corretto, serenamente e risponde ad ogni mia domanda, con disponibilità e voglia di comunicare.
Ahmed ha una cinquantina d’anni, portati benissimo; un fisico da atleta, è stato campione di karate nel suo Paese, il Marocco. Qualche filo bianco sulle tempie e la pelle nera. Si commuve ogni volta che ricorda la madre, morta da poco, che avrebbe voluto tenerlo vicino a sè e che, anche se aveva altri cinque figli, aveva con lui un legame strettissimo. Aveva 24 anni quando affascinato dai racconti e dagli oggetti “belli, belli, belli” che sfoggiavano i coetanei più ricchi, iniziò a chiedere al padre di poter partire per l’Europa. Partì con un visto turistico, con il biglietto aereo, come si poteva fare alla fine degli anni ’80. Passò i primi nove mesi a Parigi, con le meraviglie tanto desiderate negli occhi e Casablanca nel cuore, a lavorare come garzone di un ambulante sostenuto dai parenti che lo ospitavano e gli amici che ben presto si fece, con il sorriso e la disponibilità ad imparare e a lavorare duramente. Lasciato scadere il permesso, trasgredita la norma, non fu più possibile rientrare in Francia e pertanto venne in Italia.

Prima Roma, poi Torino; ospitalità di parenti e aiuto a trovare un lavoro e una sistemazione. Anche qui, poiché era disponibile ad alzarsi all’alba, fu facile trovate lavoro con un ambulante di frutta e verdura che girava i mercati. “Mi pagava bene. Eravamo amici, si fidava di me”. Poi, un maestro di karate, amico di amici, gli chiese di andarlo ad aiutare in palestra e poi un lavoro in una ditta di pulizia con orari un poco più vivibili. In palestra conobbe alcuni poliziotti, che gli dissero che la Legge Martelli consentiva una sanatoria e fu il primo ad avere il nuovo permesso di soggiorno.
Arrivò a pensare: “Con il mio saper fare mi sono integrato”.
Si iscrisse alla scuola serale, prese il diploma di 3° media; sempre più spesso veniva chiamato come interprete dalla Procura della Repubblica di Torino e fu stimolato a esplorare sempre meglio la lingua italiana aiutato anche dai colleghi interpreti con cui veniva in contatto. Divenuto uomo di fiducia della Pubblica Sicurezza fu cercato anche dalla sicurezza privata. Alla fine degli anni ’90 il titolare di una discoteca vip di San Remo, gli propose di diventare il suo braccio destro per garantire la security.

Cambiò vita. A Montecarlo frequentò il bel mondo, autista o factotum di rampolli di famiglie del jet set. Interruppe la residenza in Italia e perse la possibilità di richiedere la cittadinanza. Fece diverse esperienze. Tornò a San Remo e accettò l’offerta di un commerciante di piante e fiori di curare per lui la commercializzazione in Svizzera. “Bellissimo Paese. C’è molto da imparare dagli Svizzeri”.
Il suo datore di lavoro commercializzava anche tende marocchine, ne apprese i meccanismi, tanto che quando negli anni 2000 arrivò a Bologna, tra l’esperienza di commesso in un negozio di oggettistica d’arte e quella di autista di una ricca famiglia della nobiltà cittadina, valutò interessante creare un’impresa per gestire noleggio di tende marocchine per eventi e festival di promozione della cultura magrebina. Erano anni in cui guadagnava bene, frequentava la vita notturna e il cosiddetto bel mondo.

Venne la crisi. Intorno al 2012 una serie di negative situazioni lo gettò a terra: perse il lavoro di autista e di conseguenza il bell’appartamento in centro, destinato alla funzione; un importante partner dell’azienda di tende marocchine lasciò un debito consistente, ed un socio valutò che era occasione buona per tenersi una partita di tende. Ahmed fece causa, la vinse, ma non riuscì a rientrare dei soldi investiti, perchè il socio aveva il vizio del gioco e li aveva persi. Senza casa, senza soldi, senza lavoro: di lì a poco la morte del padre lo gettò in una brutta depressione.

I parenti gli si strinsero intorno e lo aiutarono: basta fidanzate senza futuro, ha riscoperto la propria religione musulmana, ha ottenuto la cittadinanza italiana, e quando gli presentarono una giovane marocchina si fidanzò e dopo alcuni anni si sposò.
E di nuovo ha ricominciato questa volta nel mondo della solidarietà, trovando sostegno fra chi opera nella cittadinanza attiva. Però con i lavori precari e qualche contributo di rimborso spese non si riesce a mantenere una famiglia.
Tra i nostri lettori c’è qualcuno che gli può dare una opportunità?

Testo e immagine in evidenza di Claudia Boattini


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