“Febbre”. Il primo romanzo di Jonathan Bazzi tra spazi periferici e identità in evoluzione
Chi parla di “Febbre” di Jonathan Bazzi come di un libro sull’HIV, forse perde un grande pezzo della narrazione, quella legata agli spazi, gli spazi periferici che plasmano le identità e modellano in maniera forte e concreta il modo di agire del protagonista della narrazione.
Febbre è l’opera prima del giovane scrittore milanese Bazzi, classe 1985, autore dichiaratamente gay, dichiaratamente sieropositivo e dichiaratamente cresciuto in una periferia estremamente popolare ma che fornisce i giusti strumenti per affrontare la vita, plasmando e formando come probabilmente una zona centrale di una città farebbe in tempo molto più lento.
La periferia, quella del comune di Rozzano adiacente a Milano, è al centro della vita reale dello scrittore ma anche del protagonista del romanzo edito nel 2019 da Fandango Libri, protagonista che prende lo stesso nome del narratore.
Vi invitiamo a leggere il libro di Bazzi perché per noi abitanti e frequentatori del Pilastro molti spunti sembreranno familiari, molti ricordi e memorie, che collegheranno durante la lettura la periferia milanese con quella del nostro rione.
Alcuni sono i pezzi che mi hanno colpito particolarmente leggendo il libro e che hanno ricapultato me, altro Jonathan coetaneo dell’autore, omosessuale e cresciuto in parte in periferia in una sorte di parallelismo tra la mia storia personale e quella narrata. Una narrazione che entra dentro e fa comprendere come gli spazi periferici lo diventano grazie proprio alle narrazioni che contrappongono questi spazi al centro, trasformando luoghi geografici potenzialmente uguali, in luoghi dicotomici nei quali le differenze si evolvono e si amplificano
“Sono cresciuto a Rozzano, cap 20089, un paese piccolo, ma nemmeno poi tanto, all’estrema periferia sud di Milano […] Le sparatorie, la rissa col morto, le baby gang, le infiltrazioni mafiose. Poco meno di 43.000 abitanti a Rozzano, stretti a ridosso della tangenziale Ovest. Il Bronx del Nord: il paese dei tossici, degli operai, degli spacciatori. I tamarri i delinquenti, la gente seguita dagli assistenti sociali”. (da “Febbre” di Jonathan bazzi)
“Rozzano mi odia. Rozzano l’ho odiata. Perché sono nato lì? Io leggo, scrivo, disegno, io sono il più amato dai professori. Con voi analfabeti non c’entro niente. Eppure a Rozzano ci sei nato e cresciuto. Rassegnati: sei uno di noi. Vivo a Rozzano ma lo voglio nascondere. Non voglio che la gente sappia com’è davvero casa mia. Non voglio che vedano questo palazzo con l’intonaco crollato e la gente paurosa affacciata ai balconi. Quando mi accompagnano in macchina io mi faccio lasciare lontano dal mio cortile. Dico per tempo al guidatore, amico, amante o conoscente che sia: va benissimo qua, grazie, lasciami pure qui. Ma sei sicuro? Guarda che non c’è problema, ti accompagno al portone. No, no, qua è un casino entrare nei cortili, stanno facendo i lavori. Va benissimo qui fuori grazie. Stanno facendo i lavori. Lavori in corso 365 giorni all’anno nel mio cortile. Tutti gli anni, in ogni stagione. Neanche col buio, di sera, li lascio avvicinare.” (Da “Febbre” di Jonathan Bazzi”)
La narrazione incrocia anche la scoperta della diagnosi di sieropositività da parte dall’autore nel 2016, evento fondamentale nella vita di Bazzi, che lo renderà più consapevole di se stesso e delle proprie identità. Il titolo del romanzo prende infatti il nome della febbre tipica che compare quando il virus dell’HIV invade un corpo, portando a termine la sieroconversione. L’evoluzione del corpo e dello spazio è il filo conduttore della narrazione che non finisce mai di sorprendere i lettori, facendoli viaggiare in intersezioni identitarie da scoprire lasciando da parte pregiudizi e paure.
Copertina di Elisa Seitzinger
(a cura di Jonathan Mastellari)