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HUB via Mattei. Bologna prova la sua Resistenza

Riceviamo questo testo firmato di un’operatrice pilastrina e volentieri pubblichiamo invitandovi a farci avere commenti e contributi.

Eccomi di nuovo qui, in Piazza Nettuno, in questa Piazza storica di Bologna, in cui ho già manifestato tante e tante volte…
Mi sento, come tanti altri che sono qui, scoraggiata e impotente, annichilita dall’assurdità delle scelte che vengono fatte sulla pelle dei migranti.
I turisti che arrivano per i selfi con lo sfondo della statua del Nettuno non capiscono bene cosa stia succedendo. Striscioni contro la chiusura dell’Hub di via Mattei, Piazza Nettuno ricolma di tanta gente, gente assolutamente eterogenea per età, look, etnia e che di sicuro non sono turisti

Cerco istintivamente  qualcuno che conosco, vedo L. Ci salutiamo e ci guardiamo senza parlare; vedo tanti educatori, quelli che ho conosciuto lavorando, mentre mi portavano i ragazzi. Qualcuno di loro mi riconosce, anche se senza divisa è diverso, mi salutano, uno si avvicina e mi stringe forte la mano.
Possibile, porca miseria, che gente come me e come tanti altri, che ne ha giustamente dette di tutti i colori sugli Hub, e quello di via Mattei non eccelle certo come condizioni simil detentive, si debba trovare qui in piazza per difendere l’hub?

Parlo con alcuni educatori, mi spiegano che c’è una delegazione che è stata ricevuta su in Comune, dal Sindaco e dall’Assessore Barigazzi, per cui si sta aspettando che termini l’incontro. Una Piazza di gente stanca e accaldata che aspetta che l’incontro finisca per sapere qualcosa. Nessuno, ma proprio nessuno è convinto che una sgombro così repentino ed improvviso, senza la minima possibilità di organizzarsi, sia dovuta a questioni improrogabili. In molti collegano questo fatto a una volontà di natura politica.

Giro dietro il Nettuno e li vedo. La lunga fila indiana degli sfrattati dall’Hub si snoda dalla fontana del Nettuno fino all’ingresso del Palazzo comunale, sotto l’orologio.

Sono quelli che non hanno accettato di essere deportati a Caltanissetta.
Scusate se uso termini forti, forse disturbanti :”sfrattati” e “deportati” ma bisogna avere il coraggio almeno di chiamare le cose col loro nome.

Mi salta agli occhi un ammasso di trolley scassate, borsoni da spesa ricolmi di indumenti e poco altro.
Bagagli fatti di corsa che contengono tutto quello che hanno. Penso che i miei bagagli per stare via quattro giorni sono più voluminosi, alle nostre difficoltà sui bagagli a mano da portare in aereo e sul loro peso.

Una ragazza prende il microfono e la musica si interrompe; anche la piazza tace, speranzosa di qualche aggiornamento. Invece la ragazza annuncia che hanno trovato un ragazzo urdu in grado di tradurre quello che sta succedendo per spiegarlo ai suoi compagni.
Il ragazzo urdu, timoroso, si ritrova circondato dalla folla col microfono in mano; è timido e impacciato, vorrebbe rinunciare. La piazza applaude per incoraggiarlo e lui inizia la sua traduzione. Man mano che il discorso procede diventa più spontaneo e le parole scorrono veloci.  Non capisco l’urdu, assolutamente, anche se sentendolo così spesso parlare dai miei utenti mi è diventato un suono familiare. E’ la prima volta, credo, che sento parlare urdu ad una manifestazione. La stessa situazione si ripeterà dopo poco per un improvvisato traduttore in arabo.
Gli uomini in fila ascoltano attentamente, e applaudono alla fine dei discorsi

Alcuni degli ex educatori dell’hub stanno cercando di organizzare un minimo di ospitalità estemporanea per gli espulsi: uno segna i nominativi di volontari disposti ad ospitare qualcuno per questa notte: ormai ci sono una quarantina di assegnati.
Un altro educatore prende i dati e i numeri di telefono degli ex abitanti dell’hub, per cercare di tenere insieme quello che stanno cercando di distuggere, percorsi, relazioni, impalcature di vita essenziali e faticosamente imbastite. Una rete di gente lavora quotidianamente per stipendi forfettari e con contratti permanentemente precari per il bene comune.
Non è semplice gestire una comunità di 150 migranti.

In un comunicato di poche righe si decreta che  da un giorno all’altro costoro perdano il lavoro e in più si distrugge il loro operato di mesi. Parlo con qualcuno degli uomini di questa lunga fila.

“Buonasera, lei non è partito per Caltanissetta. Perchè? Dove dormirà stanotte?” chiedo per capire.
“Sono in attesa del permesso di soggiorno da mesi e spero che arrivi. Se andassi a Caltanissetta dovrei ricominciare tutto daccapo” risponde un ragazzo in italiano stentato ma comprensibile. E’ evidente che è in Italia da un tempo non breve.
Dormirò in strada, non mi fa paura; col viaggio che ho fatto non mi spaventa dormire in strada; spero però di restare in contatto con gli amici che mi ero fatto ” “all’Hub”, risponde un altro.

“Sto facendo un corso base di falegnameria, sono quasi alla fine del corso e domani mattina voglio andare a scuola.Perchè non voglio interrompere questo corso. Spero veramente di trovare un lavoro, anche perché mi dicono i maestri che sono molto bravo”.

“Sono a Bologna da diversi mesi, mi sono fatto degli amici ed ho fraternizzato con miei compaesani che vivono a Bologna. Non voglio andarmene”.

” Dove si trova Caltanissetta? Perchè vogliono che andiamo là? Non mi fido”

Penso che Bologna sono anche loro.
Penso a questa fetta di Bologna che in pochissimo tempo e con nessun aiuto mediatico sta cercando di resistere, di arginare il peggio, di dimostrare che deve esserci un limite agli strapoteri dei vincenti sulle vite altrui.

Di fronte a noi il sacrario dei Caduti. Ancora una volta una parte di Bologna fa resistenza.
Fa resistenza per questi ragazzi, per questi uomini ma ancor di più per dimostrare che è possibile cercare soluzioni più umane e decorose ai problemi.

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