Cultura

Paesaggi sonori al Dom – Il suono degli ecosistemi

Al DOM fino al 30 novembre – tutti i giorni alle ore 19,00 e 21,00 – biglietto € 5 – PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA AL 051-6242160

“Paesaggio: parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo”. Ma può un concetto così radicato nell’esperienza visiva, essere riportata nel mondo dei suoni? Certo, se ci rifacciamo al termine “paesaggio sonoro” coniato già nel lontano 1977 da Murray Shafer, scrittore e musicista canadese per indicare la musicalità della natura.

Probabilmente non si può immaginare una ricerca sonora più aderente alle visioni di Shafer, del lavoro di documentazione svolto negli ultimi 20 anni da David Monacchi, ospite in questi giorni al Dom-La cupola del Pilastro, dove  sarà possibile assistere ad una coinvolgente performance sonora realizzata grazie alle particolari caratteristiche architettoniche di questo teatro.

Manocchi è riuscito in questi anni a penetrare alcuni degli ambienti naturali rimasti più intatti di tutto il pianeta per registrare, con attrezzature di assoluta avanguardia, la particolare impronta sonora di ciascuno di  essi. Lo si è visto in azione attraverso il documentario “Dusk choir” che illustra le sue esplorazioni. Il titolo significa “coro del crepuscolo”, cioè quel momento, al tramonto e all’alba, in cui tutte le creature viventi inscenano veri e propri cori delle loro voci che si fondono in un armonico concerto. Zone del mondo dove l’uomo occidentale non si è mai addentrato e  dove si manifesta al massimo grado l’attuale estinzione di massa in atto sul nostro pianeta. Si calcola infatti che al ritmo attuale, alla fine di questo secolo la Terra avrà perso il 75% delle specie viventi. Lo smarrimento che provoca considerare queste cifre, ha indotto Monacchi ad avviare il progetto Fragments of Exstinction, una ricerca che lo ha visto attivo in Amazzonia, in Africa equatoriale, in Indonesia per catturare -cuffia in testa, microfono ed oscilloscopio- i suoni dei grandi ecosistemi primari che stanno scomparendo. Un lavoro scientifico, svolto in collaborazione con numerosi istituti di ricerca italiani esteri, per produrre registrazioni con un grado di fedeltà che permette di fare  la stessa esperienza spaziale che potremmo vivere se ci trovassimo sul posto.

Ieri sera mentre si snodava il racconto delle esperienze di David Monacchi, una particolare atmosfera ha cominciato a pervadere il Dom. Un emozione, una partecipazione che ha dato la misura del coinvolgimento che questi temi infondono in tutti noi. Dopo la lunga spiegazione introduttiva  ed un piccolo intermezzo, entriamo nel buio della Cupola. Una flebile luce disegna un cerchio sul parterre, un cerchio luminoso che delimita la zona dove l’ascolto sarà al massimo della sua resa. Nella penombra lungo il perimetro della sala 8 enormi casse acustiche sono pronte a riversarci addosso i suoni più cristallini e possenti che la natura è in grado di esprimere. Tutti si siedono per terra; molti addirittura si sdraiano quasi a cercare quel contatto con la terra che i discorsi di stasera hanno tante volte evocato. Poi lo spettacolo ha inizio. Il frinire degli insetti, i cinguettii, i versi delle scimmie urlatrici ci trasportano là, nel cuore della foresta, fra gli stessi suoni uditi dai nostri progenitori della caverne, quando l’uomo rappresentava solo una piccola frazione degli esseri viventi di questa terra, una frazione troppo sparuta e inoffensiva per perpetrare i guasti che quotidianamente infliggiamo all’ambiente. Il pubblico cala in un silenzio profondo. Verrebbe da dire che non si sente volare una mosca. Sembra quasi un incontro col sacro, in un santuario della natura in cui, per una volta siamo noi, a sentirci estranei e vulnerabili.

Da lontano, il rombo delle trivelle che estraggono petrolio disegna onde pesanti sul diagramma dell’oscilloscopio.

testo di Lino Bertone

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