Abitare il Pilastro

Il negozio che non c’è

Ricordi – Corsi e ricorsi

C’è uno spezzone, spassosissimo, ne ‘Il grande caldo’ di Vito, spettacolo teatrale del 2006, che mi è rimasto in mente e lo ricordo spesso quando faccio la spesa.

Narra della vedova Zufoli  che va a fare la spesa dal fruttivendolo sotto casa:
Giorgini – fruttivendolo: “Signora, cosa le posso dare?”
Vedova Zufoli: “Volevo due zucchine”

G. “Come le vuole le zucchine?”
V. “Belle”

G. “Guardi mo’ saran ben belle”
V. “Son proprio belle”

G.“Sì, belle belle!”

Cliente in fila che aspetta il turno “Belle son belle, ma saranno anche buone?”
G.“Certo”
V. “Perché se non son buone non le voglio micca” (con due c) ecc. ecc..

Quante volte ho sentito una conversazione simile tra la mia mamma ed i negozianti o gli ambulanti dei mercatini, da piccola in Bolognina e poi in San Donato, al mercato giù dal ponte!
Ero piccola e se mi azzardavo a dire “guarda mamma, che non ti dirà mai che le arance non sono dolci o che la bistecca è dura”, lei si arrabbiava e mi spiegava che fare la spesa è una cosa seria, i soldi vanno spesi bene e poi, se per caso una volta a casa il prodotto non era come le avevano promesso, sarebbe tornata e glielo avrebbe rinfacciato minacciando di cambiare negozio.
Ed era così, una volta riportò indietro un grappolo d’uva mezzo marcio (tenendolo in mano come uno scalpo da via Caduti di Via Fani al ponte di San Donato, a piedi).

Poi sono arrivati i supermercati, piccoli, grandi e grandissimi…e comodi.
Se si fa la fila è solo alla cassa, non una fila per ogni negozio o banchetto, quindi quelli possono anche chiudere, che la gente ha fretta, lavora e vuole fare la spesa alle 10 di sera o il giorno di Natale e chi se ne frega se chi ci lavora non può più pianificare i contatti con i suoi famigliari.
Si fa la spesa in silenzio, si compra a vista – non c’é più nessuno cui chiedere se le zucchine sono buone – e spesso a casa si butta roba presa in eccesso, o i frutti avariati che erano stati messi nella confezione, ma sotto quelli belli belli eh…

Poi sono arrivati i negozi on-line.
Si fa la spesa davanti a un pc o con uno smartphone in mano, senza nemmeno più guardare de visu i prodotti che si ricevono direttamente a casa.

Poi è arrivato il corona virus.

Si può uscire solo per fare la spesa e, a parte la considerazione che improvvisamente nessuno è più a dieta, la gente si riversa ad ogni ora nei supermercati, fa lunghe file, distanziati da un metro uno dall’altro con mascherine e guanti di lattice, per acquistare la qualunque e tornare a casa a mangiare in un loop infinito; e se non riescono ad andare personalmente, semplice, fanno la spesa on-line, non è celere come prima, ma poi arriva direttamente a casa. E questo è positivo soprattutto per evitare il contagio.

Però…però…ci sono gli anziani, i disabili e tutti coloro che faticano a fare lunghe file in piedi, che guarda caso non hanno nemmeno il pc o le app sullo smartphone, anzi spesso non sanno nemmeno cosa sono. Sono più di quanto non si immagini, spesso senza figli o parenti che li possono approvvigionare e ai quali basterebbe un negozietto sotto casa, per le cose di tutti i giorni, che tanto, virus o non virus, è quello che si possono permettere.

Nel nostro rione c’è un unico Supermercato ed un paio di negozi di alimentari raggiungibili a piedi, tutti quelli che erano aperti 30 anni fa hanno chiuso e se ci sono stati tentativi di aprirne altri, sono falliti miseramente: un rione di 8.000 persone solo DUE negozi e un market raggiungibili a piedi che vendono cibo!

E’ in questa situazione che mi tornano in mente i mercatini, i fruttivendoli dove le zdaure toccavano la frutta, che poi in fondo non hanno mai preso nessuna malattia per questo…
I macellai che tagliavano al momento la bistecca che volevi, solo quella, non diciotto nel formato famiglia!
I forni che facevano il pane (incredibile ma vero).
I salumieri che chiedevano “altro?” e si rispondeva “altro”…che solo a Bologna diciamo così.

Finirà, non so quando e come, ma finirà.
Questa pandemia feroce sta già cambiando qualcosa e qualcuno, riflettiamo anche sulla distribuzione.

É proprio indispensabile che sia grande?

Abbiamo – ci hanno –  ‘sterilizzato’ la spesa, ce la impacchettano in ogni contenitore possibile e immaginabile, vaschette, bottiglie, vasetti, scatolette, cartoni, plastica, sacchetti chiusi, ma questo non ha impedito il diffondersi di un virus micidiale e allora…é la scelta giusta?

E allora, è proprio meglio avere in tasca una collezione di tesserine di plastica e raccogliere i bollini che ti ‘regalano’ cose assolutamente inutili che paghi pure per averle, o lo sconto il tal giorno su un prodotto che non ti serve, ma che spingono ti ad acquistare e ci si casca un po’ tutti?

Non è opportuno abbinare ai grandi market una rete di commercianti di singole tipologie alimentari ed umanizzare il rapporto cliente/dettagliante?

Speriamo di non ritrovarci più in una situazione come quella attuale e non ho prove, ma se qui al Pilastro ci fossero stati più negozi con una clientela fidelizzata, probabilmente gli stessi negozianti si sarebbero coalizzati per fornire la spesa a domicilio ai clienti in difficoltà, così come sta avvenendo in altri quartieri della città (vedi Navile).

Riflettiamoci e magari mettiamolo nei compiti da fare quando torneremo a vivere nella società, coinvolgendo gli amministratori e i vari soggetti che compongono la distribuzione.

Testo di Anna  Dondi

 

 

 

 

 

 

 

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