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Intervista a Francesca Villani consigliera del Quartiere San Donato – San Vitale.

Il blog del Pilastro intervista Francesca Villani, 32 anni, giovane abitante del rione Pilastro e consigliera del Quartiere San Donato – San Vitale di Bologna.

Ci puoi raccontare cosa fa un consigliere/una consigliere di quartiere? Da chi e come viene eletto?

Un consigliere di quartiere viene eletto dai cittadini aventi diritto di voto che, durante le elezioni amministrative per il rinnovo del sindaco, del consiglio comunale e dei consigli circoscrizionali, scrivono la preferenza – tendenzialmente il cognome del candidato – di fianco al simbolo della lista alla quale appartiene il candidato, mettendo una x anche sulla lista. Il mandato del consigliere di quartiere è dunque lo stesso del consiglio comunale e del sindaco e dura 5 anni.
Il consiglio di quartiere rappresenta le esigenze della comunità, ha un ruolo politico, propositivo e consultivo nella definizione degli indirizzi e delle scelte dell’amministrazione comunale. Inoltre, il Consiglio di quartiere decide su attività e servizi di base per la comunità, in risposta alle immediate esigenze delle persone, in linea con gli indirizzi politici dell’amministrazione comunale. Il ruolo del consigliere si inserisce dunque in questa definizione: intercetta i bisogni delle persone, le necessità del territorio, portandole insieme al Presidente di quartiere all’attenzione dell’amministrazione comunale.

Perché hai deciso di entrare in politica?

Una bella domanda. I miei genitori mi hanno insegnato ad essere curiosa del mondo, a volerlo comprendere, a leggere i quotidiani e ad informarmi sin da bambina; mi hanno insegnato ad avere consapevolezza di ciò che è giusto ed equo, e di quello che non lo è. Questo ha contribuito a farmi scegliere un percorso di studi nell’ambito delle relazioni internazionali e delle politiche europee e, in questo percorso, mi sono imbattuta nella celebre frase di J. F. Kennedy: “Non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Mi sono iscritta all’Università nel 2007, in piena campagna elettorale di Barack Obama per le elezioni presidenziali degli USA e, quello stesso anno, ho scelto di iscrivermi al Partito Democratico.

Per me la politica è passione, è stare a stretto contatto col territorio e con le persone che lo vivono, è credere nel cambiamento, essere in grado di immaginare il futuro che vogliamo costruire. È anche un percorso di crescita, di apprendimento. La politica per me è dedizione all’ascolto, al trovare nuove soluzioni ai nuovi bisogni. È attenzione dedicata ad un quartiere e una città che amo follemente.
Vorrei anzi dedicare più tempo a questo percorso, ma allo stesso tempo credo fortemente nella necessità di costruire e consolidare le competenze professionali.

Un ricordo bello e uno brutto di questi anni?

Uno dei temi della mia campagna elettorale è stato quello legato alla rigenerazione urbana e all’abitare i luoghi. Io penso che esista una grande differenza tra il presidio del territorio e il controllo della (micro)criminalità. Il presidio del territorio spetta all’amministrazione e ai cittadini in una sorta di patto di corresponsabilità. Presidio del territorio vuol dire che i cittadini hanno la possibilità di vivere i luoghi e che l’amministrazione deve mettere a disposizione ogni strumento per la cura e l’utilizzo degli spazi, e parlo sia di immobili che di luoghi aperti.
Il controllo della (micro)criminalità spetta alle forze dell’ordine.
E per questo, un ricordo bellissimo per me appartiene all’estate scorsa e si lega anche alla Commissione di Quartiere che coordino, quella della Cultura e delle nuove Centralità culturali.
L’Arena all’interno del Parco Pier Paolo Pasolini è stata il palcoscenico di una programmazione culturale popolare, che spaziava dalla musica hip hop ed elettronica, allo spettacolo circense (senza animali) alla musica classica, grazie anche al Mercato Sonato che si è proposto come capofila di una rete di realtà culturali che hanno contribuito a realizzare questo programma. Questo programma di eventi è rientrato in Bologna Estate, la programmazione estiva di Bologna e dell’area metropolitana. Questo ha significato una visibilità più ampia per il Pilastro e il Parco P. P. Pasolini, un’offerta culturale a portata di tutti perché gli eventi erano gratuiti e vicino a casa.

Un altro palcoscenico, sempre all’interno di Bologna Estate, è stato il giardino Parker-Lennon in via dl Lavoro, o la Croce del Biacco con la danza. Ne potrei citare diversi. Grazie all’amministrazione comunale è stato possibile.
Questo ha voluto dire che la cultura è arrivata sotto casa delle persone.
La cultura non può essere solo in centro. Abbiamo bisogno di riscoprire una “cultura ed un’economia di prossimità”, più vicina alle esigenze delle persone. Ad esempio, Bologna non si svuota più durante l’estate come un tempo, abbiamo bisogno di garantire un’offerta di eventi per tutti, che porti le persone fuori dalle mura di casa, ad abitare e riempire gli spazi, a favorire anche l’incontro e la socialità. C’è anche un tema importante che è quello della solitudie, non va dimenticato. E su questi temi abbiamo un tessuto associativo e culturale nel nostro quartiere, ma nella città intera, che lavora e si dedica costantemente, che è eccezionale e al quale va detto grazie.

Un ricordo brutto è stato il ballottaggio del giugno 2016, abbiamo rischiato, ma poi è andata bene!

Lo rifaresti?

Rifarei assolutamente tutte le scelte che ho fatto, probabilmente con maggiore consapevolezza.
Come dicevo anche prima, scegliere di fare questa esperienza è comunque un percorso di crescita personale.

Rispetto all’emergenza sanitaria, vuoi condividere un pensiero?

L’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto e che comunque non è finita, è anche emergenza economica, e gli effetti ce li porteremo dietro a lungo. Questa situazione ha portato a galla le fragilità e le contraddizioni di un sistema che non funziona più: disuguaglianze, precariato, i tagli alla ricerca, alla sanità. Non possiamo permetterci di tornare ad un falso benessere.

Vorrei che su questo ci fosse più consapevolezza, più coraggio e scelta. Parlo in generale ora, ma se penso alla mia città, vorrei che si facessero scelte coraggiose, come questa amministrazione ha già fatto in passato. A Bologna è nato il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, un percorso che si può dire avere avuto gli esordi in San Donato, con l’esperienza del Graf in Piazza G. Spadolini. Mi sono ritrovata tuttavia ad interrogarmi su cosa è bene comune. Sanità pubblica, digitale, istruzione, lavoro, cultura. I nostri beni comuni sono questi, accessibili, inclusivi e per tutti.

Credo che da qui bisogna ripartire.

(Intervista a cura di Jonathan Mastellari)

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