In primo pianoStoria del Pilastro

Lo strazio di ogni 4 gennaio

Il Dizionario Treccani, definisce “strazio” con testuali parole: atroce lacerazione o mutilazione di un corpo, lo spasimo, il dolore acuto causato da tale lacerazione, più genericamente, atroce sofferenza fisica.

Italia 1990: da gennaio a dicembre un susseguirsi di fatti di cronaca e costume, come la liberazione di Nelson Mandela, dopo 27 anni di carcere, oppure le morti di Sandro Pertini, Ugo Tognazzi, Greta Garbo, Alberto Moravia, Aldo Fabrizi; l’inizio della Prima Guerra del Golfo; il Napoli di Maradona che vince lo scudetto e i Mondiali di calcio giocati proprio nel bel Paese.

Mi chiedo cos’avranno vissuto in quel 1990, Andrea, Mauro e Otello, tre ragazzi, due romani e uno della provincia di Napoli, poco più che ventenni, tre giovani Carabinieri, inconsapevoli che quell’anno sarebbe stato l’ultimo della loro vita. Sono loro, i tre Carabinieri uccisi trucidamente dai poliziotti che facevano parte della banda della Uno Bianca.

Avranno passato le feste natalizie in famiglia? Come avranno festeggiato il Capodanno? Erano in servizio, oppure a qualche festa tra colleghi lontani da casa?

Potevano essere nostri figli, nostri fratelli, nostri fidanzati, tragicamente al posto sbagliato nel momento sbagliato.

Se fossero ancora vivi oggi, avrebbero poco più di cinquant’anni e chissà cosa ne sarebbe stato delle loro vite, forse sarebbero padri, magari avrebbero fatto carriera nell’Arma, forse vivrebbero ancora a Bologna o forse no…

In quegli anni, la nebbia al Pilastro ti impediva di vedere i palazzi di fronte e anche quella notte, il 4 gennaio 1991, la nebbia era così fitta che rendeva tutto più tetro: gli spari, interminabili suoni, rimbombavano nelle orecchie dei più attenti, a quell’ora tutti erano tra il calore delle mura domestiche, in giro c’era davvero poca gente.

In pochi minuti, il silenzio della nebbia fu strappato via dalle sirene di ambulanze, di auto delle forze dell’ordine, di elicotteri che illuminavano le strade come fosse giorno.

Io avevo appena compiuto 7 anni, sono cresciuta tra i numerosi documentari che si sono susseguiti negli anni, ma soprattutto ciò che so é grazie ai racconti di chi quella notte c’era, come mio nonno che si era appisolato sul divano e venne svegliato da quegli spari che gli ricordavano la Guerra, o come chi mi ha raccontato che i proiettili arrivarono fino al quinto piano dei loro condomini.

Da diversi anni, ogni 4 gennaio, esco di casa, attraverso il parco dedicato ai tre Carabinieri e in silenzio raggiungo il cippo. Con un cenno del capo, saluto le persone che incontro, ai più vicini auguro buon anno e scambio qualche parola in ricordo di quanto successo.

In rispettoso silenzio la zona si riempie di Carabinieri, più o meno graduati, ce ne sono anche di molto giovani, sicuramente coetanei ai caduti, chissà cosa proveranno a ripercorrere le stesse strade, gli stessi luoghi…

Infine arrivano i famigliari delle vittime della Uno Bianca, e le famiglie di Otello, Mauro e Andrea. Ecco, lo strazio è proprio questo: vedere le loro mamme e i loro fratelli e sorelle che, anno dopo anno, ogni 4 gennaio vengono a commemorare i loro cari, con le lacrime agli occhi, la voce strozzata che grida ancora “giustizia”, i capelli sempre più bianchi e le gambe sempre più fragili.

Anno dopo anno tornano al Pilastro, ancora con numerosi interrogativi e soprattutto carichi di indignazione ogni qual volta che ad uno degli arrestati viene concesso qualche giorno di libertà come permesso premio.

Qual è la pena giusta per chi ha ammazzato oltre 20 persone e ferite più di 100? L’ergastolo forse? Il vero ergastolo, quello ingiusto, lo hanno vissuto quelle tre madri e quei tre padri, i cui figli, poco più che ventenni, lasciando i propri cari a centinaia di km, hanno deciso di intraprendere una carriera al servizio di tutti noi.

E noi? Noi pilastrini cosa possiamo fare? Beh, noi che il Pilastro lo viviamo in maniera altruista e onesta, dobbiamo ancora combattere contro quei pregiudizi amplificati da quei tragici fatti, ma il sentimento che proviamo ogni 4 gennaio, lo portiamo dentro, come monito, come insegnamento per le generazioni future.

Giustizia, verità, strazio, angoscia, indignazione, sgomento, ingiustizia, paura, vita, morte, figli, fratelli, amici, casa, lontananza, pace, accoglienza, solitudine, tristezza, famiglia.

 

 

 

 

 

 

Testo e foto di Alessianeva Marino

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