Abitare il PilastroIn primo piano

Intitolazioni: Roberto Laffi e la politica, l’amante della sua vita

Come preannunciato, sabato 5 marzo alle ore 11 la Casa Gialla sarà intitolata a Roberto Laffi, già presidente di Quartiere San Donato e membro del Direttivo del Circolo La Fattoria. La redazione lo ricorda dando voce alla moglie e compagna della vita, e all’amico Casillo.

“Roberto era nato a Parigi, da genitori italiani. Nel 1936. Il padre era un fuoriuscito politico, la mamma invece era là per lavoro. Si erano conosciuti a Parigi e non si erano sposati, si accompagnarono probabilmente dopo la sua nascita. Una cosa che avrebbe fatto scandalo qui. I suoi genitori facevano parte del Soccorso Rosso, ha fatto le scuole elementari a Parigi. …Quando poterono rientrare Roberto ebbe grosse difficoltà di adattamento: era un bambino molto timido, molto schivo. Ha dovuto imparare l’italiano e secondo me non l’ha mai imparato bene e anche poi, quando scriveva, per tutta la vita, ogni tanto usava dei francesismi.
Sui 15  16 anni ha incominciato a interessarsi alla politica e non ha mai smesso. Tutta la sua vita è stata improntata alla politica, che era il suo grande amore, l’amante della sua vita; ha vissuto per la politica”.

Così inizia il racconto di Natalina Bernardoni, a fianco di Roberto dal 1964, anche lei protagonista della vita politica del Quartiere San Donato, e successivamente del Pilastro, con un’attività completamente autonoma da quella del marito. Si conobbero in sezione: lei segretaria del Circolo Giovanile Curiel del PCI, lui il compagno operaio che interrogava i giovani attivisti dopo lo studio delle opere del marxismo leninismo, e non sempre riusciva simpatico.
“Roberto è sempre stato strano. Quando morì mia mamma, venne al funerale e dopo iniziammo a frequentarci.” Natalina racconta alcuni episodi veramente esilaranti, fra cui la “richiesta di matrimonio”. “Un giorno eravamo al mare, mi disse: “Beh, noi potremmo anche sposarci” e io risposi “Beh, sì, potremmo”. Dopo diversi giorni, mia zia (Natalina fino alla maggiore età che allora erano 21 anni, visse con gli zii N.d.R.) mi fa tutta arrabbiata “Ti sposi e non me lo dici?”.
La sera, quando Roberto andò a trovarla, Natalina gli chiese conto e lui tutto tranquillo disse: “Beh, le l’avevo pur detto!”

Dal lungo racconto pieno di colore di Natalina emerge la figura di un uomo che portava i capelli lunghi già a metà degli anni ’60, con il riporto per nascondere l’incipiente calvizie, capelli, che fino a che ha avuto salute, ha sempre tenuto lunghi con la barba ad incorniciare il viso.
Un camminatore, molto distratto nella vita quotidiana, ma efficace e molto concreto nell’impegno politico. Un marito sempre concentrato sulle scadenze istituzionali che non ha mai pagato una bolletta e delegava completamente alla moglie la gestione della vita quotidiana e del poco tempo che ne rimaneva.
“Noi eravamo iscritti in due sezioni diverse in San Donato e per brevissimo tempo io feci la segretaria alla sezione Corazza.” (Natalina racconta l’esperienza dei primi anni ’70. La Sala Sirenella e i suoi dibattiti segnarono la vita culturale della città. NdR) “Organizzavamo molte iniziative. La cosa non piacque in Federazione… mi chiamarono, mi redarguirono, …… e a quel punto io diedi le dimissioni”…”Roberto mi lasciava fare, non interveniva mai nelle mie decisioni. Non è che volesse sapere molto, non lo dovevo coinvolgere”.
“Era molto tollerante rispetto alle idee degli altri, sapeva ascoltare, capiva e empatizzava, non giudicava e alla fine rimaneva fermissimo sulle sue posizioni, con serenità”

Natalina continua a raccontare episodi  degli anni ’70 e ’80 in cui io mi riconosco e le chiedo se ha conservato foto e documenti.
“No, non ci sono foto, tranne quelle del matrimonio e quelle ufficiali. Erano tempi che un comunista non avrebbe mai portato la macchina fotografica, erano cose superflue. Non ha lasciato appunti e sinceramente condivideva poco”.

L’esperienza di Presidente di Quartiere fu molto importante per Roberto e lo assorbì totalmente dal 1978 al 1985, mentre a casa Natalina si occupava, oltre che del proprio lavoro, del piccolo Enrico e di tutto il resto.

A fine mandato il mondo era profondamente cambiato: anche nel PCI ai compagni operai non veniva più proposto il percorso di promozione sociale che aveva caratterizzato gli anni dei grandi movimenti. Nella crisi del blocco sovietico la sinistra valorizzava differenti culture e approcci.

Roberto fu nominato Presidente del Giovanni XXIII ente in difficoltà, andò in pensione dal lavoro in FonderPress, che aveva sempre mantenuto, cercando di ricoprire al meglio il ruolo. Alla vigilia di Natale, i NAS attuarono una perquisizione e Natalina ricorda i giorni e le notti terribili per Roberto. Si dimise e per anni la rabbia verso chi lo aveva messo in quel ruolo, diventò la costante dei suoi lamenti.
Arrabbbiato e rancoroso, e con una pensione penalizzata dai tanti anni di distacco, si impegnò al Pilastro, prima con il fratello Comunardo in quegli anni presidente del Circolo La Fattoria, poi insieme a Casillo e nel palazzo con gli amici Grandi e Raimondi.
Quando finalmente si convinse di sottoporsi ad una visita medica al Centro Demenze si preparò, “addirittura si era ricordato l’anniversario di matrimonio, che non se ne era mai ricordato uno in vita sua e magari arrivava un mese dopo una rosa per festeggiare, ma io lo avevo accettato così” racconta Natalina. Gli fu diagnosticato l’Alzhaimer, glielo dissero e Natalina ricorda che in un momento di lucidità, Roberto la guardò e le disse: “Adesso il problema è il tuo”.

Antonio Casillo, al Pilastro da sempre, amico carissimo di Roberto, ce lo ha raccontato così:
“L’ho conosciuto tantissimi anni fa, quando lui era presidente di Quartiere e io un attivista del PCI, dopo qualche hanno che era venuto ad abitare al Pilastro. Ero molto amico di suo fratello Comunardo, come me un amante del campeggio, e soprattutto diventammo molto amici ed in sintonia, dopo la sconfitta della sinistra alle elezioni comunali del 1999. Eravamo sconvolti e io, Roberto, Tommaso Raimondi, Franco Lella ed altri formammo un comitato per discutere e valutare il che fare, e come valorizzare la partecipazione.
In quel periodo ci fu l’incendio al campo nomadi di via Santa Caterina, con la morte di due bambini, e fu decisa la chiusura del campo e il trasferimento delle famiglie in via Dino Campana, nella ex scuola elementare Ada Negri. Noi non eravamo d’accordo e facemmo un Comitato allargato a tanti cittadini del Pilastro per opporci: circa 10 anni prima c’era stata la Uno Bianca, noi abbiamo sofferto tanto, e praticamente si faceva un campo nomadi!
Io ero molto convinto, ma in quel momento avevo poco tempo, lavoravo alla Casaralta e avevamo tanti problemi.  Avevo chiesto a Roberto di farsi carico lui di portare avanti gli incontri con l’amministrazione Guazzaloca che non ne voleva sapere mezza di questo problema. Lui ci sapeva fare, aveva un’esperienza istituzionale e anche un modo di fare gentile che apriva tutte le porte.
Ebbe una bella discussione e tanti incontri, anche se ci disturbò parecchio che non vollero mai venire al Pilastro: avevano paura.

Da qui si cementò proprio la nostra amicizia. Dopo anni, con la nuova amministrazione Cofferati e con l’aiuto di Malagoli, Presidente di Quartiere finalmente la situazione dell’ex Ada Negri si sbloccò e fummo noi, noi del Comitato, a suggerire di distribuire le famiglie nomadi negli alloggi sfitti e piano piano l’intera situazione si risolse. Poi magari si aprirono altri problemi, ma ricordo l’incontro a cui erano presenti Malagoli, il Parroco, Trentini del sindacato, la Golfarelli non era più assessore, ma conosceva la questione, quando facemmo questa proposta.
Tornando al nostro Comitato politico. Quando si avvicinarono le elezioni, dentro i Democratici di Sinistra, il nostro partito allora si chiamava così, crebbe il timore che ad alimentare troppe critiche, la sinistra avrebbe nuovamente perso. Sciogliemmo il Comitato e qualche cittadino mi sgridò, e Oscar allora mi chiese di diventare Presidente del Circolo e rilanciare l’attività nel territorio. Io lavoravo e ero impegnato nelle lotte dei lavoratori alla Casaralta e pensai che la persona più adatta fosse Roberto, che però rifiutò decisamente: aveva avuto una brutta esperienza e non volle saperne.
Accettai di diventare Presidente del Circolo e chiamai nel direttivo, oltre ad altri che iniziavano a impegnarsi con uno spirito nuovo, Roberto. Allora eravamo anche circolo Legambiente e Roberto divenne responsabile della sezione “Amanti della Natura”. Con l’aiuto del gruppo e di Maurizio Sani, anche lui nel direttivo, preparammo il progetto Fattoria Urbana e quando incontrammo Cofferati glielo presentammo, ci fu anche la foto sui giornali.
Io facevo l’orto da qualche anno, e quando andai in pensione, avevo più tempo; Roberto veniva sempre a trovarmi, passavamo molto tempo insieme ed eravamo proprio grandi amici. Si parlava di tutto e il sabato mattina anche con Tommaso andavamo a fare l’aperitivo insieme.
Poi quando non stava bene e non riconosceva più le persone, quando mi vedeva si fermava; sempre. Questa cosa, sempre, mi emozionava.”

Raccolta di testimonianze a cura di Claudia Boattini
Foto in evidenza di Gabriele Grandi. ( Roberto Laffi con la moglie Natalina e in mezzo a loro Chiara e Anna Maria Grandi)
Foto di Laffi Presidente tratte dall’album di Natalina Bernardoni
Foto di Laffi con gli amici di Maurizio Sani

 

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