Abitare il PilastroRacconti

Via Cadriano negli anni ’70 del 900

Mio padre era ferroviere e lavorava coi turni.

Quando  aveva la domenica mattina libera  spesso andavo con lui  a fare dei giri in bicicletta in campagna. Per mio fratello e me, bambina, era una festa.

Si partiva da casa, a San Donnino. Le biciclette venivano faticosamente trasportate su dalla cantina, non avendo il garage e poi si iniziava a pedalare.

Eccoci in fretta alla San Donato, poi il sovrapasso sulla tangenziale edificata da pochi anni e subito eravamo in Via Cadriano, con la sua “chiesetta”, come la chiamavamo.

La campagna ci accoglieva, coi suoi colori e i suoi animali. Campi alberi viti orti. Oche e galline, faraone e galli. Qualche maiale. Gli animali ci  incuriosivano con i loro versi.

Le mucche non si vedevano, erano nelle stalle. Ma noi sapevamo che c’erano, sentivamo i muggiti e l’inconfondibile odore dei letamai. Mio padre ci spiegava che la cacca delle mucche era importante per far crescere le piante, quindi era buona. Noi ci credevamo, ma perchè faceva tanta puzza?

Le case che vedevamo ai lati della strada erano tutte case di contadini e si percepiva molta vita in quelle aie. Carri agricoli e trattori, bambini che giocavano, panni stesi.

Pedala pedala, si arrivava alla fabbrica della Granarolo, che ci sembrava enorme. Papà ci raccontava che da lì venivano le bottiglie di vetro che arrivavano nel nostro frigo. Mio fratello ed io ascoltavamo perplessi; come era possibile che il latte venisse da lì e non dalle mucche?

Lo avevamo visto direttamente come si mungevano le mucche, quando eravamo in vacanza in montagna; le mani che stringevano i capezzoli e quegli zampilli magici e caldi di latte che uscivano. Una favola!

Alcuni anni dopo, in una ” gita scolastica”, ci accompagnarono a vedere la fabbrica Granarolo e lì capii, perdendo poesia. Ma ormai ero alle medie; ero già “grande”

Pedala pedala eccoci  al  “Piccolo cow boy” sulla Via San Donato. Mio fratello reclamava una sosta in contemplazione della fantastica diligenza parcheggiata nel giardino del ristorante.

Il caldo e la stanchezza cominciavano a farsi sentire, eravamo piccoli ma mio padre riusciva a portarci sempre oltre.

Ricordo quando riuscivamo ad arrivare a Via del Ferroviere, sulla  salita per arrivare sul ponte che supera lo Scalo merci San Donato.La visione era spettacolare, il groviglio di linee ferroviarie e binari che si aprivano a raggera ed il via vai continuo di treni merci che scorrevano in una danza in cui miracolosamente riuscivano a non incrociarsi mai.

Giocavamo a indovinare cosa contenessero quei vagoni e dove andassero; non c’era limite alla nostra fantasia.

I treni ci erano familiari, scorrevano vicini alle nostre finestre e accompagnavano i pomeriggi di pioggia.

Sul ponte dello scalo ferroviario  ci voltavamo verso la città e così, quasi una magia, riuscivamo a vedere, lontana lontana, casa nostra, il nostro balcone.

Si tornava stanchi, brontolando per le gambe dolenti. Prima di San Donnino ci si fermava a raccogliere i fiori in un prato.

Aprendo la porta di casa ci inondava il profumo di ragù ed arrosto. La mamma aveva lavorato.

Pomeriggio ci aspettavano i compiti. Il  papà andava a lavorare, sempre sui treni.

testo di Ingrid Negroni  

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