I racconti di Licia
MAMMA DUE
Così io e mia sorella chiamavano quella grande e morbida signora che abitava al quinto piano, nella nostra casa di via del Lavoro. Lei e le sue figlie, erano diventate la nostra seconda famiglia: era da loro che ci rifugiavamo, quando mamma non stava bene.
La grande famiglia, composta prevalentemente da donne, veniva dominata dalla figura del patriarca che, nel grande numero di figli, vedeva la benedizione del Padre Celeste. Nel fare la sua volontà c’era la fede che Dio, li avrebbe sempre tenuti per mano.Una famiglia molto solida che, al suo interno, eseguiva senza fiatare, regole rigidissime. Educati a non pretendere nulla, le parole d’ordine per tutti erano: organizzazione, collaborazione e rispetto. Le figlie più grandi, pensavano ai più piccoli e si occupavano di loro al mattino prima di uscire, e la sera prima di andare a letto. Facevano i turni ad apparecchiare, sparecchiare e pulire casa. Tutte studiavano e si aiutavano tra loro.
Mamma due, sottomessa al marito, portava sulle spalle il peso della famiglia. Educata a una fede che concretamente significava essere coraggiosi, fiduciosi e generosi, aveva creato il suo piccolo microcosmo. Con poca spinta a estendere i suoi confini, oltre l’ambiente conosciuto. Una barriera fra la loro e la società nel suo insieme.
La vanità era bandita. Le ragazze portavano i capelli raccolti, lunghe gonne e abiti con le maniche. Non potevano truccarsi, andare a ballare o frequentare cinema e teatri. Uscivano, solo per andare a scuola o all’adunanza. Nella loro casa non c’erano radio, né televisori. E i libri? Beh, alcuni li ho fatti entrare io di nascosto, per la numero tre di dieci. Io guardavo ammirata quelle bellissime ragazze e mi sentivo un brutto anatroccolo, vicino a loro. I toni sempre pacati delle loro conversazioni e le alte tonalità dei loro canti, le facevano somigliare agli angeli. Rappresentavano quello che, nel mio immaginario, avrebbe dovuto essere l’eleganza e la femminilità.
Nonostante le chiusure, mamma due era riuscita ad aprire la porta della sua casa alla mia mamma, donna iscritta al PCI e a noi bambine. E, mentre io giocavo e crescevo con la figlia numero cinque, Carla faceva altrettanto con la numero quattro. Le due mamme, a loro volta, si confidavano mentre si facevano compagnia. Condividevano le loro ansie, le loro paure e la loro fottuta voglia di scappare e mollarci tutte lì.
Due donne normali che, sebbene sembrassero male assortite, erano invece molto simili e complementari e condividevano, con il cuore, quel poco che avevano. Compresi i grandi momenti di difficoltà. Nei loro dialoghi non sono mai mancati gli spunti per il confronto, gli stimoli per riflettere e migliorarsi. Non è mai mancata la curiosità di approfondire la loro conoscenza.
Due grandi amiche, che si sono volute un sacco di bene. Imparando una dall’altra, quanto erano meravigliose le loro grandi diversità.
Testo di Licia Deligia