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I racconti di Licia

La premiére 

Aspettando il taxi che lo condurrà a Teatro, maledice i due bicchieri di cognac invecchiato che si è scolato prima di uscire. La sua mano cerca febbrile, in fondo alla tasca del bellissimo cappotto di cashmere, una vecchia foto ingiallita. L’accarezza. Gli occhi scrutano l’orizzonte, in attesa dei fari della macchina che passerà a prenderlo. I suoi piedi hanno calpestato la neve che si sta sciogliendo, insieme al nodo che gli stringe la gola.

Raggiunto il palcoscenico si ferma dietro il sipario spiando tra le fessure delle tende. Molti i critici musicali seduti nelle prime file. Lo stanno aspettando per poter parlare di questo nuovo talento che si sta consegnando al mondo dell’arte. Si aspettano grandi cose, le stesse che hanno avuto dal padre. Un padre a cui ha promesso, in punto di morte, di perpetuare le sue note musicali per l’eternità suonandole in teatro prima e insegnandole ai suoi figli poi. Note che lo hanno fatto sudare e gli sono costate sacrifici.

Fin da piccolo il padre lo costringeva per ore al pianoforte, chiedendogli di lavorare al di sopra delle sue piccole forze. Chiamava il loro tempo insieme un grande amore. Lui lo odiava quel tempo, ma decise di iscriversi al Conservatorio, di rinunciare ai primi amori, agli amici e ai viaggi. Assecondando il padre in un sogno che non era il suo, ha permesso a quel sogno d’infilarsi nel suo spazio e nel suo cuore.

Fino a occuparlo tutto.

Oggi tocca a lui aprire quel sipario, salutare il pubblico e suonare. Ha propria voglia di farsi conoscere nella sua unicità. Dopo anni di messe in scena tutte uguali in ogni parte del mondo, ha deciso di cambiare per quel pubblico che lo sta reclamando con gli applausi.

Sale sul palco mentre in sala non vola una mosca. Si siede davanti al pianoforte, esce dalla tasca la foto ingiallita e l’appoggia sul leggio insieme allo spartito. Pochi gli elementi scenici: lui, il pianoforte, le luci e la musica. La scena acquerellata è pura magia! Si china sulla tastiera, le mani sfiorano i tasti, inizia la sinfonia. Il pubblico viene via via accompagnato, attraverso i suoni, nella poetica di Gustav Mahler. Suoni impalpabili si alternano a mordenti passaggi drammatici restituiti a chi ascolta come un testamento spirituale. Difficile capire dove termina il testamento del compositore e dove inizia il suo.

In un finale sconvolgente, si spengono le luci in sala. Il trionfale applauso del pubblico in piedi, dopo secondi infiniti di silenzio, lo riportano alla realtà.

Un pensiero solo per il suo Babbo «Grazie per avermi fatto coltivare il tuo sogno. Non più un fardello, ma il nostro respiro verso nuovi orizzonti».

 

Testo di Licia Deligia

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